La ricostruzione della partitura originale è stata da me effettuata collazionando due copie manoscritte dell’Opera: l’una, fortemente spuria, proveniente dalla Biblioteca Estense di Modena (303 pagine di un solo copista), l’altra dalla Biblioteca del Conservatorio di Bruxelles (405 pagine scritte da tre mani diverse).
La copia di Modena è stata verosimilmente preparata per la rappresentazione avvenuta in quella città, al teatro Rangoni, nel carnevale 1756: una versione assai semplificata (mancano le scene più complesse del secondo Atto) e evidentemente adattata ai gusti e alle possibilità dei solisti (cinque Arie, di cui non mi è stato possibile accertare la provenienza, non hanno alcuna relazione con il libretto)
Nel frontespizio del manoscritto di Bruxelles viene indicata una rappresentazione al S. Cassiano di Venezia (1752), che non mi risulta confermata da altre fonti: non è da escludere che il copista si riferisse alla Prima avvenuta proprio al S.Cassiano, ma nell’autunno 1750.
I due manoscritti sono particolarmente ricchi di indicazioni dinamiche: nella versione di Bruxelles ne ho rilevate più di 900 in 320 pagine di partitura. Il fatto assume grande rilevanza (l’Opera è del 1750) e contrasta clamorosamente con l’opinione di coloro che sostengono una sorta di asetticità della musica di questo secolo; oltretutto, sarebbe scorretto anche dal punto di vista strettamente filologico non attribuire a tutte queste indicazioni dinamiche, precise e inequivocabili (coincidono puntualmente nelle due versioni), il giusto rilievo sul piano esecutivo e interpretativo.
Le Arie, generalmente articolate secondo il rapporto ‘proposta / risposta’ in raggruppamenti, talvolta ‘irregolari’, per frasi e periodi, non mostrano sensibili condizionamenti da precisi schemi fissi: sono di volta in volta inventate, in relazione alla tensione rappresentativa ed espressiva del testo, con una varietà e una ricchezza non tanto comuni.
Ogni intervento, immediatamente efficace anche in rapporto alla essenziale semplicità dell’impostazione, è caratterizzato in modo deciso: la scelta del metro, del ritmo, del movimento, degli elementi tematici, degli aspetti dinamici, del tipo di vocalità e della articolazione del discorso è direttamente e intimamente connessa con la natura del personaggio e con la particolare situazione scenica. Quello che scrive Paolo Sartori (“I temi del Galuppi sono vivi, parlanti, individuali, caratteristici. Preferisce egli i ritmi corti, spezzati…, le forme più irregolari metriche e ritmiche e le accentuazioni delle parole più strane. E’ tutta una novità e una ricchezza ritmica però che segue e sottolinea il testo nelle sue minime sfumature. E’ dunque una differenziazione quella dell’arte galuppiana che dipende dal testo musicato, che è strettamente legata al significato delle parole, che nasce dalla preoccupazione unica di non sovrastare alla parola, di non guastarne lo spirito, di lasciarla chiara e comprensibile al di sopra della musica, di sottolinearne semmai l’arguzia. E’ insomma un continuo commento”) è sostanzialmente da condividere, ma, almeno in questo caso, soltanto in parte; ne ‘Il mondo alla roversa’, infatti, la musica è molto di più di un semplice ‘commento’: è invenzione viva e reale, naturalmente e necessariamente legata in modo profondo al testo, ma con un acuto e puntuale spirito di ricerca che, ben oltre il ‘commento’, determina situazioni musicalmente e strutturalmente compiute con intrinseci valori autonomi e con una coerente e omogenea caratterizzazione espressiva.
Franco Piva
La prima ripresa moderna de IL MONDO ALLA ROVERSA è stata effettuata nel 1978 con una coproduzione del Teatro ‘La Fenice’ di Venezia e del Teatro Sociale di Rovigo (scene e costumi: Gabbris Ferrari; regia: Giancarlo Cobelli; Direzione: Franco Piva.
L’Opera è stata incisa per la ‘Bongiovanni’ (Bologna) nel 1997.