LA GRISELDA di Antonio Vivaldi – Revisone e interpretazione strumentale: Franco Piva

ANTONIO VVALDI
LA GRISELDA

L’antico mito popolare di Griselda (l’elaborazione più celebre è quella del Boccaccio nel “Decameron”) è molto diffuso nella letteratura occidentale: da Petrarca a Perrault, da Lope De Vega ad Hauptmann.
Il testo di Apostolo Zeno, scritto per il Pollarolo nel 1701, è stato musicato nel secolo XVIII, sempre con diversi rimaneggiamenti, da una quindicina di compositori, fra cui Orlandini, Alessandro Scarlatti, Bononcini, Conti, Caldara, Albinoni, Porpora, Latilla, Piccinni, Paer.
Per l’edizione vivaldiana del 1735 (Venezia, Teatro Grimani di San Samuel, Fiera dell’Ascensione), il testo di Zeno è stato completamente ricomposto da Carlo Goldoni, che dell’originale ha mantenuto soltanto i Recitativi, con tagli e modifiche, scrivendo ex novo tutte le Arie e il Terzetto.
L’Opera è stata eseguita in prima ripresa moderna nel 1979 da Renato Fasano con I Virtuosi di Roma; in seguito è stata approntata una partitura, a cura di Giuseppe Marchetti, che se da un lato riporta il manoscritto originale, custodito presso la Biblioteca Nazionale di Torino, dall’altro contiene numerosi e non lievi errori e si limita a una impassibile trascrizione senza alcun approfondimento; il basso continuo, poi, è realizzato in modo spesso improprio e sempre con grafia decisamente scolastica.
Quest’Opera, viceversa, presenta dei valori importanti che, pur nel totale rispetto del manoscritto, devono essere adeguatamente evidenziati: per questo ho ritenuto indispensabile procedere a una nuova revisione e realizzare una appropriata interpretazione strumentale.
“La Griselda” contiene, oltre all’Ouverture in tre Movimenti, un solo Recitativo Obbligato (Atto II), un Terzetto (fine Atto II), un breve ‘Coro’ finale e 19 Arie così distribuite: Gualtiero (tenore): 3; Griselda (mezzosoprano): 4; Ottone (soprano): 3; Costanza (soprano): 3; Roberto (mezzosoprano): 4; Corrado (mezzosoprano): 2.
Tutte le Arie sono fortemente caratterizzate in rapporto al testo e alla situazione: questo fatto mi ha convinto della opportunità, se non della necessità ai fini della esaltazione della rappresentatività dei contenuti musicali, di attribuire a ciascuna Aria, nei limiti stilistici consentiti, una impronta timbrica coerente con il carattere del discorso. La partitura originale prevede quasi sempre soltanto il quartetto d’archi; molto spesso, poi, i violini primi e secondi suonano all’unisono: una simile uniformità timbrica non favorisce certo l’efficacia drammatica delle differenti impostazioni. Non solo, invece, esistono all’interno di ciascuna Aria i presupposti musicali e drammaturgici per una adeguata differenziazione timbrica, ma tale differenziazione diventa una necessità se si tiene presente che si tratta di musica scritta per i teatro.
Del resto, una appropriata ‘interpretazione strumentale’ è perfettamente coerente con la prassi esecutiva dell’epoca: la partitura presentata, infatti, costituiva un canovaccio essenziale obbligatorio soggetto ad arricchimenti a seconda delle circostanze, delle possibilità e delle scelte interpretative.
Gli interventi proposti, sempre stilisticamente appropriati, non alterano minimamente la partitura originale: un ‘passo’, per esempio, viene affidato ai flauti o agli oboi, oppure al flauto e all’oboe, soltanto quando i violini primi e secondi suonano all’unisono; viene raddoppiato dai fiati qualche frammento che necessita per la sua rilevanza espressiva di essere messo in particolare rilievo; alcuni frammenti ripetuti vengono presentati in modo concertato fra archi e fiati.
Nella mia versione strumentale, poi, è stata riservata una particolare attenzione al ‘problema’ del Basso continuo: non si può non tener conto del fatto che un eccessivo appesantimento del Basso stesso distorce gli equilibri della partitura. Infatti: il costante raddoppio da parte di Violoncelli, Contrabbassi, clavicembalo e fagotto attribuisce un peso eccessivo al Basso stesso, specialmente quando la sua funzione è soltanto quella di semplice sostegno armonico, e sminuisce gravemente la presenza e l’importanza delle viole, le quali in questa partitura quasi sempre presentano linee autonome; ho ritenuto, quindi, opportuno dosare il peso del Basso e dei raddoppi, in rapporto alle diverse situazioni espressive, e attribuire al clavicembalo una funzione quasi concertante, comunque relativamente indipendente.
Va infine tenuta presente nell’esecuzione la possibilità dell’alternanza fra ‘soli’ e tutti’: tale alternanza è perfettamente legittima sul piano stilistico e risulta molto utile ai fini di una ulteriore precisazione della articolazione del discorso con la creazione di diversi spessori sonori e quindi di rilievi e di prospettive.
Il rispetto rigoroso dei fondamentali principi filologici non deve assolutamente escludere l’altrettanto doveroso rispetto delle necessità rappresentative implicitamente o esplicitamente presenti nella partitura.

Franco Piva

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