IL FILOSOFO DI CAMPAGNA di Baldassarre Galuppi (Revisione: Franco Piva)

IL FILOSOFO DI CAMPAGNA di B. Galuppi (revisione: Franco Piva)

‘Il Filosofo di campagna’ è l’Opera giocosa più nota del Galuppi e fino al 1978 (anno della prima moderna de Il mondo alla roversa) era quasi l’unica rappresentata in tempi recenti (con le eccezioni de ‘L’Amante di tutte’ e de ‘La Diavolessa’, riprese rispettivamente dall’Accademia Chigiana e dal Teatro La Fenice). La spiegazione è semplice: da un lato l’incredibile noncuranza dei musicologi e dei musicisti che, a parte due vecchie tesi di laurea (Chiuminatto negli USA e Raabe in Germania) e qualche saggio del Torrefranca e del Piovano, non si sono mai veramente preoccupati di fare almeno qualche organica verifica sulla ricchissima e vastissima produzione teatrale del Buranello, in particolare di quella collegata alla collaborazione con il Goldoni; dall’altro, la prima sorprendente riscoperta fatta è stata, appunto, quella de ‘Il Filosofo di campagna’. Il guaio è che la prima rivisitazione risulta oggi davvero sconcertante: senza entrare in troppi dettagli, basterà dire che i personaggi previsti erano cinque anziché sette (con il conseguente taglio delle Arie e dei Recitativi dei due personaggi tolti), che gli Atti erano due anziché tre, che alcune delle Arie allora eseguite risultano totalmente estranee al libretto goldoniano. Per parecchi anni questa versione pseudogaluppiana e pseudogoldoniana è stata studiata, eseguita, rappresentata, ascoltata e accolta come se fosse autentica: al contrario, rispetto ai più elementari principi filologici e musicologici, non è altro che un falso clamoroso.

Per la ricostruzione della partitura originale, non avendo la possibilità di rintracciare l’autografo, mi sono appoggiato a un manoscritto proveniente dal British Museum di Londra, che risulta totalmente fedele, parola per parola, al libretto goldoniano.

Il manoscritto contiene un gran numero di errori, dovuti a interpretazioni inesatte dell’autografo, all’imperizia e all’impreparazione del copista. Il lavoro più impegnativo della mia revisione, oltre alla correzione degli errori del copista, ha riguardato la definizione delle legature. Si tratta di un problema di importanza fondamentale, perché legature diverse possono cambiare in modo sostanziale il senso espressivo di un frammento e quindi di un intero brano. Una quartina di crome, per esempio (lo stesso discorso può riguardare le semiminime e le semicrome) può avere nessuna legatura o ben sei tipi di legature: a 4, a 3 (1-3 / 2-4), a 2 (1/2 – 2/3 – 3/4); le note non legate, poi, possono essere staccate o separate in vari modi.

In assenza di qualunque indicazione nel manoscritto, i criteri per la definizione delle legature possono essere diversi: il carattere dell’intervento musicale in relazione con il personaggio e la situazione; il rapporto fra il disegno melodico e la parola o le parole corrispondenti; la presenza di un particolare elemento musicale che non può non essere adeguatamente sottolineato; la necessità di evidenziare in modo adeguato un particolare accento agogico della frase.

Ovviamente le indicazioni del revisore sono tutte fra parentesi: nascono comunque da una attenta e approfondita analisi sia del rapporto stabilito nella partitura fra testo e musica sia del significato dell’articolazione degli interventi musicali.
Franco Piva
                                                                                           

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